Data di pubblicazione: 22 Dicembre 2021
La transizione energetica è forse la sfida più grande che attende l’umanità nel ventunesimo secolo: volendola definire come l’esigenza di costruire un nuovo modello di organizzazione sociale basato su produzione e consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili, già per definizione attiva un processo di cambiamento profondo basato sulla sensibilizzazione al risparmio energetico e a una maggiore efficienza dei consumi anche dal punto di vista culturale ai nostri modi di vivere insieme in comunità. In questo senso, l’attivazione di nuove forme di azione collettiva mirata ad abbattere i costi (economici e ambientali), unite alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali, rappresenta non solo la base della transizione energetica, ma anche un’opportunità per la creazione di nuovi modelli di gestione dell’energia, senza mai abbandonare il paradigma della green economy.
I cittadini di tutto il mondo, cogliendo l’opportunità offerta dalle nuove tecnologie e dalla politica di riduzione delle emissioni di carbonio in vista del 2050, stanno già cercando di riunirsi con l’obbiettivo di riacquisire rilevanza nel settore energetico, tramite nuove vesti: quelle di prosumer. Termine mutuato dall’inglese, per prosumer si intende una figura che non si limita ad essere un consumatore di energia (consumer), ma vuole partecipare in prima persona alla produzione della stessa (producer). Di fatto il prosumer è quindi colui che possiede un proprio impianto di produzione di energia, della quale ne consuma una parte. La rimanente quantità di energia può essere immessa in rete, scambiata con i consumatori più vicini al prosumer o accumulata per poi venire utilizzata in un secondo momento. Il ruolo del prosumer è quindi di protagonista nella gestione dei flussi energetici, e garantisce non solo una relativa autonomia decisionale, ma anche benefici economici.
Le forme più moderne di prosumption sono le comunità energetiche, ossia una coalizione di utenti che, tramite la volontaria adesione ad un contratto, collaborano con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso uno o più impianti energetici locali. Con le dovute distinzioni e differenze tra loro, le comunità energetiche sono tutte accomunate da uno stesso obiettivo: fornire energia rinnovabile a prezzi accessibili ai propri membri, piuttosto che dare la priorità al profitto economico come una società energetica tradizionale. Si può quindi affermare che la priorità delle comunità energetiche è l’autoconsumo dell’energia. Ma perché entrare a far parte di una comunità energetica? Quali sono i vantaggi?
Image Credit Bartz/Stockmar, CC BY-SA 4.0
Tra i numerosi benefici che le comunità energetiche portano su persone e gruppi sociali, vi è sicuramente l’aspetto ambientale in primis, dato che l’energia prodotta dalle comunità energetiche è rinnovabile e quindi pulita per l’ambiente. Ma non è tutto: finalmente anche in Italia vi sono anche i benefici economici per le comunità energetiche. Infatti, grazie alla conversione in legge del Decreto Milleproroghe 162/2019, sono state riconosciute anche nell’ordinamento del nostro Paese le “comunità energetiche rinnovabili”, ovvero associazioni tra cittadini, attività commerciali, enti locali o imprese che decidono di unire le proprie risorse per dotarsi di impianti per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili. D’ora in avanti associazioni di cittadini, negozi, enti territoriali o aziende con uffici nello stesso stabile potranno attingere da un unico impianto condiviso, con una potenza complessiva inferiore a 200 kW, che si preoccuperà di autoprodurre l’energia per il consumo immediato o per conservarla in sistemi di accumulo e utilizzarla quando necessario.
Bisogna specificare che in Italia era già possibile, per i singoli cittadini o per gruppi di aziende, unirsi per finanziare l’installazione di un impianto condiviso e alimentato da fonti rinnovabili, ma non era previsto che tale impianto potesse fornire energia a più utenze. Ora la nuova legge attribuisce anche una dignità giuridica alle comunità energetiche, definendo i diritti dei singoli partecipanti, i quali continueranno a scegliere liberamente il proprio fornitore di energia elettrica e avranno la facoltà di nominare un loro delegato, anche appartenente anche a un’azienda esterna, per la gestione dei flussi assieme al Gestore dei Servizi Energetici. Ma come si arriva a tutto questo?
Mettiamo che un privato decida di offrire ai vicini, previo accordo, l’energia rinnovabile che produce direttamente in casa sua, vendendo l’accesso all’energia in eccesso ai consumatori attigui. Tale pratica è definita «micro grid», ovvero reti elettriche con copertura locale dove l’energia generata viene utilizzata per le utenze locali. Se però viene installata una specifica tecnologia digitale, ecco che una «micro grid» base diventa intelligente («smart grid»). Le smart grid sono delle reti elettriche connesse ad Internet che generano e utilizzano dati che, tramite il dispositivo digitale, vengono interpretati in chiave probabilistica per valutare i consumi e prevedere quelli futuri. In tal modo la distribuzione energetica viene ottimizzata e, all’occorrenza in caso di picchi di richiesta interna o esterna, possono richiedere l’apertura di ulteriori flussi energetici in entrata o in uscita.
Ad oggi le Energy Community in Italia sono dodici. Si trovano in cinque regioni: pioniere il Piemonte, con la comunità energetica realizzata da Consorzio Pinerolo Energia e il politecnico di Torino. In Veneto si è creato una sorta di consorzio energetico: Coldiretti Veneto e la società ForGreen hanno messo insieme 514 aziende e utenti possessori di impianti che producono energia rinnovabile. Inoltre è stato approvato un disegno di legge per promuovere tali iniziative: 550 mila euro per favorire produzione e scambio di energie pulite. Per quanto riguarda l’Emilia Romagna troviamo il progetto GECO: una community localizzata a nord-est di Bologna, includendo anche il centro agroalimentare di Bologna Caab. Verrà installato un sistema fotovoltaico da 200 kW, un sistema di storage e un impianto per gestire i rifiuti organici. Infine la Lombardia, che, oltre a vantare della prima comunità energetica alpina, entro il 2030 verranno creato dalle 300 alle 600 nuove comunità energetiche che aumenteranno la capacità fotovoltaica tra i 600 e i 1300 MW.
Il nostro Paese comunque conta più di 3.500 Comuni che fanno solo uso di energia rinnovabile e che quindi la produzione elettrica da rinnovabili supera i fabbisogni delle famiglie residenti. Inoltre, secondo uno studio del Politecnico di Milano, si stima che entro 5 anni le energy community italiane saranno circa 40mila e coinvolgeranno circa 1,2 milioni di famiglie, 200 mila uffici e 10 mila PMI.