Data di pubblicazione: 26 Gennaio 2022
La moda è tra i settori più inquinanti al mondo. Tra energia e risorse consumate, le enormi emissioni di anidride carbonica, il rilascio di microfibre negli oceani (oltre mezzo milione di tonnellate di microfibre l’anno, pari a 50 miliardi di bottiglie di plastica) e la produzione di rifiuti l’industria tessile è tutt’altro che pulita. E il problema andrà solo in crescendo: si stima che entro il 2030 la produzione di abbigliamento arriverà quasi a raddoppiare, arrivando a 102 milioni di tonnellate prodotte.
Negli ultimi vent’anni, viste l’utilizzo di materiali più economici, manodopera a basso costo e facilità sempre crescente nell’acquistare su internet, la moda è diventata sempre più veloce, più consumistica. Con pochi euro si possono comprare decine di vestiti, su negozi online o enormi e blasonate catene che riempiono i centri delle città di tutto il mondo. E quindi i consumatori comprano più capi d’abbigliamento, li utilizzano poco e li buttano presto nella spazzatura. Secondo quanto riporta Altreconomia, rispetto a 15 anni fa, oggi in media viene acquistato il 60% di vestiti in più, utilizzati la metà del necessario.
Tantissimi brand, per cavalcare l’onda della sostenibilità e aumentare le vendite, dichiarano strategie sostenibili, materiali riciclati e produzioni eco-compatibili. Molto spesso, però, sono solo casi di greenwashing, in cui la sostenibilità diventa un mero mezzo di marketing.
Le alternative alla fast fashion sono molte. In primis c’è quella di non comprare, e utilizzare i capi che già si possiedono. Se proprio bisogna comprare, scegliere capi di seconda mano, da negozi o da privati, anche nelle numerose piattaforme online come Vinted o Depop. Se si vogliono comprare capi nuovi, farlo con testa, non in modo impulsivo. Magari spendere un po’ più del solito, ma investire in qualità: il capo sarà di migliore fattura, e durerà nel tempo. Per concludere, la migliore alternativa è organizzare uno swap party: un gruppo di amici, familiari o conoscenti che si incontra in un luogo: ogni partecipante porta i vestiti che non utilizza più, così si crea un piccolo mercatino basato sul baratto. Ecologico, gratuito e divertente. I vestiti che rimangono, quelli che non sono stati scelti da nessuno, possono essere portati alle associazioni che li raccolgono per i bisognosi.
Un brand che ha fatto della “vera” sostenibilità il suo leitmotiv è Patagonia. Il marchio, infatti, crea capi d’abbigliamento fatti per durare nel tempo, venduti al giusto prezzo. Poi, nella sua comunicazione spesso incita a non comprare capi nuovi, ma comprare meno, comprare capi usati, riparare quelli che già si ha. Come si legge in questo post preso dal profilo Instagram di Patagonia.
«Since 1973, Patagonia has built clothes to endure, so you don’t need to buy new as often. There are some things you can do, too. Buy less. Buy used. Repair what you wear out. Demand recycled. Demand Fair Trade. Demand organic. You have the power to change the way clothes are made. #buyless #demandmore»
E per aiutare concretamente le persone a riparare i vestiti il brand ha aperto il sito “WornWear“, in cui, con brevi tutorial video, si spiega come aggiustare zip, mantenere le giacche impermeabili, rattoppare pantaloni e molto altro. Inoltre, nello stesso sito, è possibile sia acquistare capi Patagonia usati «ricondizionati», ma anche spedire gratuitamente alla casa madre i capi Patagonia inutilizzati, che li aggiusterà e li metterà in vendita.